Home Tra terra e cielo L’Overshoot Day. Come se non ci fosse un domani

L’Overshoot Day. Come se non ci fosse un domani

da Redazione
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Il 15 maggio, ricorre per l’Italia l’Overshoot Day, letteralmente: ‘giorno del superamento’, ossia il giorno che segna l’esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell’arco di un anno solare. La data cambia di anno in anno, a seconda della rapidità con cui le risorse vengono sfruttate. In sostanza, si tratta di un bilancio ecologico calcolato attraverso un rapporto tra domanda e offerta, dove l’offerta è rappresentata dalla biocapacità, cioè dall’insieme di servizi che ci offrono gli ecosistemi terrestri e marini, incluso l’assorbimento della CO2, mentre la domanda è costituita dalla cosiddetta impronta ecologica, ovverosia la terra biologicamente produttiva richiesta da una data popolazione per supportare le proprie attività quotidiane. Se la domanda supera l’offerta, la specie umana è in debito per l’anno in corso.

Oltre che a livello globale, il calcolo viene effettuato anche con riferimento agli stili di consumo degli abitanti di ogni singolo Paese: nel primo caso si parla di Earth Overshoot Day, indicandosi con tale locuzione il giorno in cui l’umanità avrà consumato le risorse generate dal pianeta nell’anno, mentre il Giorno del debito ecologico della popolazione di uno Stato è il Country Overshoot Day, ooverosia il giorno in cui le risorse biologiche producibili nel mondo intero nel corso di un dato anno si esaurirebbero se tutta l’umanità le consumasse come le persone che vivono in quello Stato.

A redigere ogni anno questo report di contabilità ambientale è un’organizzazione internazionale, il Global footprint network (Gfn), ma pare che l’umanità resti del tutto insensibile e quasi impermeabile ai numeri sempre più allarmanti che vengono annualmente diffusi. Non è stato ancora reso noto l’Earth Overshoot Day di quest’anno, ma nel 2022 cadde il 28 luglio, toccando un nuovo record, ovviamente in negativo. Basti pensare che nel 1972 l’E.O.D. fu il 14 dicembre: l’umanità allora riusciva a farsi bastare le risorse del pianeta per quasi tutto l’anno. E il trend spaventoso che ci ha portato alla situazione attuale è da imputarsi maggiormente ai Paesi più ricchi. Tanto per non andare lontano, noi italiani, come detto, andremo in debito biologico già il 15 maggio: in sostanza, ci servirebbero quasi tre pianeti come il nostro per soddisfare le nostre esigenze: stesso risultato dello scorso anno, non un solo giorno di miglioramento. E non siamo neppure i peggiori: a collocarsi al primo posto di questa ben poco lodevole classifica è il Qatar, il cui Country Overshoot day è già passato da oltre tre mesi, essendo caduto addirittura il 10 febbraio. Pochi giorni dopo, il 14, è stata la volta del Lussemburgo, mentre nel mese di marzo è toccato, tra gli altri, a U.S.A., Canada, Belgio e Australia, mentre in aprile troviamo la maggior parte degli Stati europei, oltre a Corea del Sud e Giappone. Tra i più virtuosi vi sono, invece, Indonesia, Ecuador e Jamaica, la cui popolazione va in debito biologico solo in prossimità delle festività natalizie, il 20 dicembre.

Fa un certo effetto pensare a tutte le campagne di sensibilizzazione, gli appelli e gli allarmi lanciati dalle associazioni e dai gruppi ecologisti di tutto il mondo per salvare il pianeta che, negli anni, hanno assunto sempre più toni da ultimatum.

In tale, sempre più preoccupante, contesto non poteva non ergersi autorevole anche la voce della Chiesa e di Papa Francesco che, già con la Lettera Enciclica Laudato si’ del 24 maggio 2015, richiamandosi al ben noto Cantico di colui del quale ha scelto di portare il nome “come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma”, ricordando che nella visione del Santo di Assisi “la nostra casa comune è anche come una sorella” che oggi, scrive il Santo Padre, “protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”. Rivolgendosi non solo ai fedeli cattolici ma “a ogni persona che abita questo pianeta”, Francesco ha inteso richiamare tutti noi ad una grande responsabilità nei confronti del Creato: “Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla”, per cui  “fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22)”. Tra l’altro, non si tratta neppure del primo appello che la Chiesa rivolge in materia ecologica e la Laudato si’ non manca di evidenziarlo, ricordando tutti gli interventi a difesa del pianeta ferito, dalla Lettera apostolica Octogesima adveniens del Beato Paolo VI, del 1971, alla Lettera enciclica Redemptor hominis del 4 marzo 1979, la prima di San Giovanni Paolo II, che poi, nel corso del suo lungo pontificato, ebbe più volte modo di tornare sul tema, fino alla Lettera enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI del 29 giugno 2009, senza dimenticare le riflessioni sviluppate su questi temi anche da altre Chiese e confessioni religiose, nonché da innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali. “Uniti da una stessa preoccupazione” sottolinea il Santo Padre, che poi non può non tornare su San Francesco d’Assisi, indicato come “l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità”, capace di entrare “in comunicazione con tutto il creato”.

Fra tre anni ricorrerà l’ottavo centenario del beato transito del fraticello di Assisi: a celebrare questa importante ricorrenza sarà un mondo ben diverso da quello che ha lasciato, con le ferite profonde inferte da un’umanità che consuma come se non ci fosse un domani.

di Ginafranco Bognandi

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