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Guardare il cielo e camminare sulla terra

da Redazione
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In uno dei luoghi simbolo della violenza terroristica dell’Isis, Papa Francesco pone segni di rinascita e di speranza

Erano 1,5 milioni i cristiani in Iraq prima della Seconda guerra del Golfo (2003-2011). Oggi sono ridotti a 300-400mila. Ultima in ordine di tempo, l’esperienza del Daesh (2014), lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, più frequentemente conosciuto come Isis, ha devastato la comunità cristiana, provocando l’allontanamento di 100mila “Nassarah”, “Nazareni”, come vengono chiamati i cristiani. È un mondo variegato, che in quella terra ha sempre dato rilevanti contributi spirituali, culturali, sociali. Sono Caldei, Armeni, Latini, Ortodossi, Siriaci, Melchiti, Protestanti. Alcuni di loro dopo la sconfitta dello Stato islamico (2017), cominciano a tornare.

Nel viaggio di Francesco i cristiani hanno visto un grande segno di speranza. La distruzione materiale del ricco patrimonio religioso dell’Iraq operata dai terroristi era stata anche un tentativo simbolico di cancellazione del diritto a esistere di ogni altra visione religiosa.

Ma le macerie da loro prodotte hanno visto rinascere luoghi, culti, programmi di fraternità. Nei segni posti da Francesco e nel discorso pronunciato il 6 marzo durante l’incontro interreligioso a Ur dei Caldei, tanto i cattolici quanto i rappresentati delle altre fedi hanno trovato strade spianate per continuare, come il padre Abramo, «un cammino in uscita»: in esso «siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli».

«Luogo benedetto» definisce Francesco Ur dei Caldei, perché da qui Abramo iniziò il suo viaggio guardando le stelle che alludevano a una discendenza arrivata fino ad oggi, fino a noi: «noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio». Se questo luogo è benedetto, chiunque vive in esso lo è altrettanto. Si può vivere da integrati in quanto eternamente benedetti di Dio e quando, come il padre Abramo, «guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra».

Se vogliamo camminare sulla terra come uomini e donne, dobbiamo guardare il cielo. L’uomo religioso non è colui che impugna simboli sacri e lancia proclami infarciti di parole della religione (tipologia umana che anche nella nostra nazione ha significativi esemplari) per escludere l’altro. Chi fa questo, si appella a un’identità inventata che assume l’involucro della religione e scarta le autentiche categorie della fede: «L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello». Dal canto suo, la modernità ci ha insegnato che nessun senso identitario può cancellare l’altro. Qualunque identità deve tenere presente l’altro e includerlo non nella propria, ma nel comune orizzonte delle identità.

Il Papa afferma la necessità «di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze». Non si tratta di mescolanza, ma della ricerca di quell’integrazione che rende possibile la convivenza di identità plurali.

Tutto ciò, ovviamente, non avviene in modo immediato. Francesco non propone un mondo irenico. Egli conosce le dinamiche dei comportamenti umani, sempre rappresentati al massimo di realismo. E proprio la religione può mediare la condivisione delle diversità. L’uomo autenticamente religioso – colui che fonda la propria vita sulla relazione con Dio – tiene gli occhi in alto e, al tempo stesso, rimane con la testa ben piantata sulla terra. Niente sguardi alienati e visionari, niente cervelli tra le nuvole dell’ideologia: «Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo».

Il Papa indica il soggetto di questa acquisita consapevolezza: «Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace». La responsabilità della pace è di tutta l’umanità. I credenti operano al suo interno come lievito, in un ambito che include tutti: quello della «casa comune», la terra, alla quale deve essere rivolta la cura di ognuno.

Francesco, come Abramo, spera contro ogni speranza. Sa di poter camminare in compagnia di quanti hanno il coraggio di guardare il cielo. Essi, come le stelle, illuminano le notti della storia brillando assieme.

Michelangelo Lorefice

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