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Abbecedario bioetico. La “Responsabilità”

da Giovanni Peligra
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LA RESPONSABILITA’

Secondo Incontro

Veniamo alla considerazione di un’altra parola chiave del nostro abbecedario bioetica. Essa, a nostro avviso, non può che essere la tanto scomoda quanto necessaria: RESPONSABILITÀ.

Per aiutarci a riflettere su questo delicato tassello del mosaico che stiamo lentamente componendo chiediamo qualche lume ad Hans Jonas (1903-1993), uno dei filosofi contemporanei che hanno tentato di elaborare una nuova etica della civiltà tecnologica. Nel prossimo articolo continueremo a riflettere su questa parola chiave attingendo al Magistero di papa Francesco. Di fronte al “Prometeo scatenato” di quest’ultima, che sta minacciando la sopravvivenza del pianeta, egli è convinto che sia indispensabile procedere all’elaborazione e all’esercizio di una nuova etica della responsabilità profondamente diversa dalle morali antecedenti.

Scrive Jonas in un passaggio del suo libro del 1979 IL PRINCIPIO RESPONSABILITÀ:
«Un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l’intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere […] La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere».

L’ascesa della tecnica, potenziata dalla scienza e dall’economia, ci accorgiamo che ha urgentemente bisogno di un sapere e di una condotta etica all’altezza delle sue complesse dinamiche e che le impediscano di trasformarsi in una trappola davvero mortale. La sottomissione della Natura alle tecniche umane ha finito per concretizzarsi in una delle più grandi sfide della storia, e con questo si è trasformata anche l’essenza dell’agire umano. Dal momento che l’etica riguarda l’agire concreto, il cambiamento nella natura/essenza dell’agire umano richiede anche un cambiamento nella consapevolezza e conoscenza morali.

L’avventura tecnologica ci spinge a riconsiderare le antiche questioni del rapporto fra essere e dover essere. Per questo la nuova etica, schierata contro il soggettivismo moderno (individualismo di massa, egoismo di gruppo o classe), non deve soffermarsi soltanto sull’uomo, ma deve considerare seriamente i possibili effetti a lungo termine del nostro agire individuale e collettivo.

La nuova etica deve, secondo Jonas, ripudiare “lo spietato antropocentrismo” e la “strutturale miopia” che caratterizzano l’etica occidentale tradizionale. Questo significa che oggi non è più sufficiente essere “a posto con la propria coscienza” o accontentarsi del rispetto e della tutela dell’osservanza di regole formali, ma occorre saper prevedere con la debita prudenza l’influenza che le nostre condotte abituali potranno avere sulle sorti dell’umanità e del pianeta. Per quale motivo però, dovremmo sacrificarci per le generazioni future? Sulla base di quale principio si afferma il dover far sì che la vita continui? A questo proposito, Jonas afferma che esiste un dover essere intrinseco all’essere, una direzione interna all’ordine delle cose, che fa sì che la vita richieda la conservazione della vita stessa:

«Il bene è concettualmente definibile come quella cosa la cui possibilità include l’esigenza della sua realtà, diventando così un dover essere»: se questo è vero, il dover essere dell’umanità risulta deducibile dall’idea dell’uomo. Dunque prima di essere responsabili verso gli uomini, «siamo responsabili verso l’idea dell’uomo». In altre parole, dal momento che l’esistenza dell’umanità futura è implicita nell’essenza ideale dell’uomo, cioè nell’idea di una “autentica umanità” degna di esistere, è l’idea dell’uomo che va salvata, prima ancora dei singoli individui. Da ciò: «Il primo imperativo categorico è che ci sia e ci possa essere un’umanità».

Jonas formula poi un nuovo imperativo categorico per il nostro presente, la cui espressione concreta è proprio il senso effettivo di responsabilità: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla Terra. La nuova etica non è interessata a realizzare un paradiso terrestre attraverso il progresso, ma si costruisce sul più modesto imperativo della sopravvivenza. A questo si accompagna il rifiuto del mito della crescita e del progresso che Jonas definisce “prometeico” dell’Occidente, al quale viene opposto l’elogio della cautela, «il lato migliore del coraggio», un rinnovato ritorno alla saggezza e il recupero di una certa intelligente umiltà.

La responsabilità, infatti, si nutre sia della speranza sia della paura, ed è valorizzando quest’ultima che Jonas parla di una “euristica della paura”, ovvero una ricerca stimolata da tale stato d’animo di fronte ad una possibile apocalisse tecnologica. Il compito specifico di questa ricerca è quello di individuare i nuovi (e ancora sconosciuti) principi etici che devono ispirare i nuovi doveri ecologici, così da tutelare l’uomo e il mondo da scelte irresponsabili, salvaguardando non solo la sopravvivenza
fisica, ma anche l’integrità della vita e dell’essere. Per il nostro filosofo la morale tradizionale non ha dato alla responsabilità l’importanza dovuta. Per questo l’etica in una civiltà tecnologica come la nostra fa della responsabilità il centro del discorso filosofico, concentrandosi sugli effetti a lungo termine delle azioni umane. Si tratta quindi di un’etica possibile e realizzabile della responsabilità, basata sul compito modesto, ma efficace (perché dettato dalla paura e dal rispetto), di conservare l’integrità dell’essere dell’uomo e del suo mondo.

Lo sforzo ambizioso della riflessione fortemente attuale di Jonas è senz’altro anche originale. Nonostante essa ruoti infatti attorno al timore di un’eventuale catastrofe ecologica, non sfocia nel pessimismo, anzi. Al contrario di altri scrittori e filosofi del nostro tempo, egli conserva una moderata fiducia nella potenziale bontà della ragione e nella giusta libertà dell’uomo.

Al momento diremmo di fermarci qui per meditare intanto su quanto l’autore da noi scelto ci ha consegnato.
A presto…

1 commento

rosariapiazzee36@ gmail .it 23 Luglio 2021 - 12:23

Non dobbiamo essere pessimisti,ma è positivo conservare una moderata fiducia nella potenziale bontà della ragione e nella giusta libertà dell’ uomo.Complimenti Giovanni

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