Lo scorso 11 gennaio 2022 si è celebrato il 329° anniversario del terremoto che, nel 1693, colpì la parte sud-orientale della nostra isola, producendo un numero elevatissimo di vittime, circa 60.000, e distruggendo intere città (oltre 45 centri abitati).
Questo evento catastrofico con una magnitudo di 7,32, rappresenta, assieme ai terremoti del 1169 e del 1908, l’evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia orientale in tempi storici ed è, anzi, considerato il terremoto più forte mai registrato nell’intero territorio italiano ed il ventitreesimo terremoto più disastroso della storia dell’umanità, almeno tra quelli storicamente accertati.
A leggerli questi dati, ancor oggi, destano veramente impressione e si comprende come, a distanza di oltre tre secoli, il suo ricordo, tramandatosi di generazione in generazione, non sia ancora sopito.
Il suo ricordo è fortemente impresso nella memoria di noi tutti, soprattutto i più anziani i quali ogni 11 di gennaio alle ore 15:00 si inginocchiano, recitando l’antica filastrocca che inizia invariabilmente con il ricordo della data e dell’ora: “L’unnici innaru a vintinura…”.
La devastazione, come tutti sappiamo, investì direttamente anche la nostra Spaccaforno, distruggendo il Fortilitium col castello marchionale e l’antica chiesa dell’Annunziata.
Dalle macerie, materiali ed umane, di quel tragico evento, ebbe origine l’attuale centro abitato di Ispica: la rinascita dopo la distruzione e la morte, come accade dopo ogni cataclisma, naturale o anche umano, non è cosa facile.
Così dopo il terremoto, la terra cessò di tremare e i sopravvissuti, usciti dalle macerie, poterono iniziare la ricostruzione materiale delle città ed anche quella umana delle comunità. Negli anni gli effetti sociali ed economici del terremoto furono veramente disastrosi, tante erano state le perdite. Ma la nostra terra così fortemente deprivata non abbassò il capo.
In ambito architettonico si ebbe una nuova impronta tardo barocca che si vede nelle cattedrali di Noto e Ragusa. In ambito economico i contadini cominciarono, sempre più numerosi, ad abbandonare i feudi e a voler coltivare proprie terre che portarono all’abbattimento del latifonfondo. La nostra nuova Ispica è essa stesa il risultato della rinascita e della ricostruzione post sisma.
I nostri antenati, alla fine del ‘600, seppero ricostruire città nuove con delle chiese stupende che riempirono della loro devozione, per nulla scalfita dalla tragedia vissuta. La Fede fu proprio il punto di partenza nella ricostruzione, l’àncora cui le comunità si avvinsero per non lasciarsi trascinare verso la disperazione e trovare la forza di ricominciare. Le ripartenza sprigionò una creatività che si manifestò in ogni ambito.
Oggi come allora viviamo un periodo di forte disorientamento siamo stati rinchiusi, distanziati, i nostri rapporti sociali sono fortemente ridimensionati. Abbiamo imparato a vivere e convivere con la paura dell’altro. Anche il covid lo si può considerare come un grande cataclisma, non solo per le numerose morti che ha portato, ma anche per i grandi cambiamenti che ha innescato. Le relazioni sono state fortemente modificate, non solo quelle amicali, ma anche professionali, con riunioni online e Smart working. L’economia ha subito una forte e grave destabilizzazione e questo influenza non poco la struttura sociale i i suoi equilibri. Da più parti si coglie disagio in quantità spiccata con sfiducia e scoraggiamento.
Riusciremo a tornare alla normalità? Riusciremo ad abbracciarci a stringerci la mano, a sfiorarci senza guardarci con sospetto. Abbatteremo il muro di diffidenza in cui noi tutti viviamo? Non lo sappiamo, possiamo solo guardare al futuro e al nuovo che verrà con entusiastica speranza, provando noi ad essere quella ventata di novità che ci porterà alla ripresa. E allora non ci arrendiamo
La strada, è tracciata, non ci resta che percorrerla.
di Gianfranco Bognandi
(In foto: Arcobaleno sulla nostra Basilica)
1 commento
Complimenti per questo interessantissimo, articolo che mi ha destato tanta commoziome.