Annunciati dal suono delle trombe a partire dei giovedì che li precedono e dal suono notturno delle campane nelle prime ore dell’alba successiva, i tradizionali Venerdì di Marzo costituiscono così un appuntamento tradizionale nella liturgia quaresimale ispicese, che si susseguono subito dopo il Mercoledì delle Ceneri fino al Venerdì Santo della Settimana Santa che culmina nella domenica di Pasqua.
Il suono delle trombe che irrompe nel silenzio della notte, il rintocco delle campane a morto, suoni di suggestioni tramandate nel tempo, la cui origine si perde in esso stesso in un rituale di funzioni della via Crucis in chiesa e canto del Popule Meus ai piedi del Cristo Crocifisso, dopo l’adorazione di Gesù sacramentato portato in giro per le navate della Basilica sotto il baldacchino sorretto dai Confrati in abito.
Le norme anti assembramento causa COVID ci hanno un pò fatto immaginare lo scorso anno come sarebbero stati i venerdì di quaresima non celebrati dal vivo e le dirette facebook dei riti ce li hanno fatto un po’ pregustare in previsione della loro fine: vedendo Papa Francesco pregare davanti al Crocifisso miracoloso in una San Pietro deserto, quasi ciascuno ha rivisto in quella Croce la nostra Croce di chi Nunziataro (devoto appartenente alla Basilica della SS. Annunziata, ndr) se ne fa vanto ed effige fin da quando, bambino, ha imparato a celebrare le celebrazioni pre pasqua che quasi in un’atmosfera preparatoria di silenzio e celebrazione del dolore fanno ancora più pregustare la gioia della Santa Pasqua.
L’ultimo venerdi di Quaresima noto come la “Santa Cascia” si riferisce alla tradizionale discesa della croce del Cristo rappresentata con la descrizione dei tre chiodi di Cristo o nelle cosiddette sette parole pratica molto diffusa nei paesi siciliani in cui la rivisitazione della passione di Cristo conosce molte versioni a seconda delle tradizioni del luogo e del Gruppo scultoreo a cui è legata la devozione della Parrocchia che ne tramanda le tradizioni secolari. Nella Ispica ex “spaccaforno; il paese dei due Cristi”, come l’ebbe a definire monsignor Giuseppe Vizzini, vescovo di Noto, a Culonna (termine devozionale per indicare il simulacro del Cristo flagellato alla Colonna) di S. Maria si contrappone il Cruci (termine devozionale per indicare il simulacro del Cristo che porta la croce) della SS. Annunziata: entrambi trovano la loro origine nel loro antico sito presso Cava Ispica ed il Fortilium del Parco Forza, dove sorgevano rispettivamente entrambe le Chiese originarie.
Nella ricostruzione post terremoto del 1693 del centro abitato nel nuovo sito del colle della Calandra, si riprese nelle nuove chiese il culto di entrambi i Cristi finchè non se ne commissionarono anche le statue che tuttora vediamo e veneriamo nella nostra ormai Ispica, non più Spaccaforno.
La processione della S. Spina rimase fino al 1860 l’unica ad essere espletata con la processione del Venerdì Santo fino a quando la Statua dell’attuale complesso scultoreo del Cristo con la Croce, opera di Francesco Guarino da Noto, di cui si riportano i primi documenti nel 1729, raccolti poi in un opuscolo fatto stampare dall’Arciconfraternita SS. Annunziata: l’importante documento riporta come venne scortato l’ingresso della statua che andava a sostituire quella vecchia andata distrutta insieme alla Chiesa della SS. Annunziata nel fortilitium del Parco Forza.
Il documento descrive la presenza della nobiltà locale abbigliata da cavalleria romana e sui cavalli quasi a scortare l’ingresso di quella statua che dal 1861 ad oggi è stata sempre venerata, all’interno della Basilica, nel suo altare omonimo nella navata laterale a destra dell’altare maggiore. Il documento riporta, poi, i nomi dei signori della città come Francesco Statella e del Barone Modica assistito da altri nobili della città e recanti uno stendardo, la cui simbologia è ancora presente come “bandiera introduttiva” del rito e come “segno di ossequio” alla Statua del Cristo nel suo rituale di inchino nei tradizionali giri all’interno delle navate della Basilica e davanti alla Statua come omaggio della collettività che ancora crede ed incarna il suo dolore in quel Cristo che rappresentato nell’atto di portare la Croce al Calvario incatenato ai suoi due malfattori ha quello sguardo inquisitore da più di un secolo.
Tra suoni di trombe e tamburi la devozione si adatta alla pandemia e rivive nei ricordi degli anziani, in quello dei piccoli iscritti alla associazione Don Bosco portatori di Cristo e nelle strofe del “Canto di Li Mitituri” , poesia scritta per devozione al Cristo della Croce che richiama le parole di S. Paolo nel vanto della croce nella sua penultima strofa “Oh, viva la putenza ri la Cruci”, mentre l’ultimo verso è relativo ai Cavari, richiamando a quell’eterno idillo fra i due Cristi a cui il Popolo Ispicese si affida e continua a venerare rendendo la Pasqua un rito atteso tutto l’anno.
(Foto di repertorio – Venerdì di quaresima 2018)