Un grande teologo Michele de Cherteau in un suo libro afferma “Non si vive senza gli altri”, questa frase a noi ne richiama un’altra “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18).
Per questo Dio creò la donna, un aiuto che gli fosse simile. La relazione fra l’uomo e la donna si attua nella semplicità e nella fragilità della condizione umana e richiede una continua conversione per potersi attuare compiutamente e conservarsi sempre viva e nuova nel tempo. Ed è proprio nella fragilità umana che si innestano i conflitti e i litigi della vita di coppia. Essi sono fisiologici, oseremmo dire inevitabili, per le differenze di personalità, educazione, ritmo e gusti: litigare in coppia è normale, capita a tutti!
Quest’anno il gruppo famiglie della Spiritualità della Tenerezza della nostra comunità ha intrapreso un percorso “Elogio del litigio di coppia: per una tenerezza che perdona” di don Carlo Rocchetta.
Gli incontri, a cadenza settimanale, ci stanno guidando a scoprire e acquisire le dinamiche che favoriscono una conflittualità coniugale costruttiva, per poterla gestire in modo maturo. Il problema non sono i litigi, ma come si affrontano. Sta a noi scegliere di vivere il litigio in modo sano e trasformarlo in occasione di crescita comune, evitando di essere trascinati in uno scontro carico di incomprensioni senza fine, compromettendo l’amore di coppia e il suo futuro.
Il litigio nasce sempre all’improvviso, di conseguenza ciascuno cerca di difendersi, portando avanti le proprie ragioni o accusando l’altro. Spesso uno dei due si chiude nelle sue ragioni, ritorcendo gli argomenti contro il coniuge.
Ogni coppia nella propria storia ha vissuto l’esperienza del confronto-scontro, perché incontrarsi comporta lo scontrarsi, cioè sperimentare la diversità dell’altro, in quanto non si accetta e non si accoglie il suo punto di vista, il suo essere “altro” da me. Nascono così incomprensioni, offese e ferite, che sembrano distruggere tutto quello che si è costruito. Ad un tratto non si è più alleati e non ci si sente parte di un progetto comune.
In queste occasioni a volte si rifugge dal confronto per amore del quieto vivere, così facendo non si affronta la situazione e ci si chiude nel risentimento, rimuginando sull’accaduto. Alimentiamo inoltre invidia, rabbia, giudizi… sommando sofferenza a sofferenza. Non affrontare i litigi significa non voler riconoscere le proprie paure, non voler maturare, crescere, cambiare, conoscersi, relazionarsi. Affrontare un litigio non vuol dire vincere o perdere, ma aprirsi a una nuova prospettiva, a un nuovo punto di vista su sé stessi e sugli altri.
Il conflitto non significa fallimento: ci si può amare e litigare!
Esso spesso sottolinea un bisogno di cambiamento, che ci invita a rendere più autentica e solida la nostra relazione di coppia. Può anche essere il segno di una situazione di sofferenza che chiede di essere curata, guarita e risolta.
Per condurre un sano litigio è necessario circoscrivere bene l’argomento, non farsi prendere dalla rabbia, ed evitare di umiliare l’altro. È bene parlare sempre in prima persona, comunicando i sentimenti provati in quella situazione, fare riferimento al noi di coppia mentre si discute, perché si sbaglia in due. Evitare di coinvolgere terze persone con cui vi sono legami familiari, perché potrebbero essere di parte.
Decisivo è da parte dei coniugi, a prescindere da chi farà il primo passo, dare una spallata al proprio orgoglio, al proprio egocentrismo, per andare incontro all’unica cosa che davvero conta: il nostro matrimonio, la nostra vocazione e l’accoglienza reciproca.
Il nostro amore di coppia non è sempre perfetto e fedele, ma è soggetto a debolezze e cadute e i coniugi cristiani non sono esenti da conflitti o incomprensioni. Quando uno dei coniugi compie il primo passo nel dare o chiedere il perdono, allora la coppia riprende a dialogare in modo nuovo e a crescere, senza la presunzione di ciascuno di avere sempre ragione.
Il perdono non significa dimenticare l’offesa ricevuta, ma rielaborarla e contestualizzarla attraverso il dialogo e l’ascolto, fino ad accettarla con consapevolezza, chiedendosi in che modo è possibile ricostruire i ponti interrotti.
Il perdono porta alla riconciliazione, quando si ristabilisce una nuova e rinnovata fiducia per ricostruire il legame di amore che era stato ferito.
Perdonare non è segno di debolezza, ma di forza, segno di “un amore tenace come la morte” che “le grandi acque non possono travolgere” (Ct 8,6-7).
Essere misericordiosi nei confronti del coniuge ci richiama ad essere testimoni della tenerezza di Dio: il perdono e la tenerezza si colgono l’uno nell’altra, l’uno non vive senza l’altra. La tenerezza infatti è flessibilità, permeabilità, apertura di cuore, disponibilità al cambiamento. La tenerezza è una vocazione profonda, che umanizza la persona e la rende amorevole, cioè capace di ascolto, di accettazione, di giusta stima e tolleranza (don Carlo Rocchetta).
Gli sposi cristiani sono consapevoli di non essere soli in questo, perché la luce di Cristo li accompagna ogni giorno, dando loro forza, guarigione e conforto, sia nei giorni sereni che nei momenti duri: così nessuna crisi sarà per loro insuperabile.
Il modello di amore coniugale di chi ha celebrato il Sacramento del matrimonio è l’amore di Cristo per l’umanità e la sua Chiesa sulla croce: la croce è l’albero della salvezza, dalle radici cresciamo e dai rami ci distendiamo, è il talamo della salvezza, perché sulla croce Cristo sposa la Chiesa. La sofferenza tuttavia non è voluta direttamente da Dio, ma fa parte della natura umana ed è motivo di crescita personale e di coppia.
Quando si vive l’incomprensione all’inizio ci sentiamo smarriti, ma il dolore fa fiorire sentimenti positivi di vita, ci fa scoprire ciò che è essenziale per noi, se viviamo la croce con Gesù salvezza. Raggiungiamo la serenità quando scopriamo che Dio è vicino a noi durante la sofferenza.
L’immagine del Crocifisso esprime la fede dei coniugi che niente è senza speranza, se si cammina nella ricerca dell’amore vero, sincero, sofferto. Il Venerdì Santo è un passaggio doloroso, ma un passaggio verso la Domenica di Pasqua, quando Cristo risorge e rimane con noi sempre, anche quando ci sentiamo abbandonati o ci troviamo nelle situazioni più difficili.
La grazia del sacramento nuziale non si sovrappone all’amore degli sposi, ma l’assume, lo perfeziona, lo eleva. La tenerezza dei coniugi si presenta costantemente come un dono di grazia: una grazia che viene dall’alto. Essa consente loro di rendersi reciprocamente amabili, capaci di accogliere i propri e gli altrui difetti. Ciò è essenziale per vivere in armonia e in pienezza la relazione coniugale.
di Emanuele e Carmela Sudano