Se osserviamo la situazione della società che ci circonda, ci accorgiamo che è pervasa da una cultura individualista, soprattutto attenta a sezionare e promuovere l’uomo e la donna a seconda dei bisogni e dei consumi.
La famiglia è la grande malata del nostro tempo. Ma ciò si spiega perché l’amore sul quale oggi si costruisce la famiglia poggia su fragili basi, non essendo fondata su Dio. Non si può amare l’uomo se non si ama Dio.
Quale annuncio? Quello del “comandamento nuovo”: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Un comandamento che ha portato una rivoluzione nei rapporti fra gli uomini e quindi anche nei rapporti di famiglia.
Dopo Dio increato la rivelazione cristiana ha conosciuto Dio incarnato che per amore è divenuto il Dio crocifisso e abbandonato su un patibolo di legno. Amare dunque, come Cristo ci ha amato. Senza quel come l’amore non regge, soprattutto non persevera.
Dice Chiara Lubich, Fondatrice del Movimento dei Focolari: -c’è nella Bibbia un vertice del dolore, espresso da un «perché» gridato al cielo. Riferisce l’evangelista Matteo, nel racconto della morte di Gesù: «Verso le ore tre, Gesù gridò a gran voce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46).
Cristo è arrivato a quel momento passando attraverso una gamma di sofferenze devastanti: la paura angosciosa, il tradimento e l’abbandono dei suoi, un processo ingiusto e pilotato, la tortura, l’umiliazione.
Alla fine, quel grido inatteso e che lascia intravedere il dramma dell’Uomo-Dio: «Perché mi hai abbandonato?». È il culmine dei suoi dolori, è la sua passione interiore, è la sua notte più nera.
Non è simile a lui l’angosciato, il solo, il fallito, il condannato? Non è immagine di lui ogni divisione familiare? Non c’è tragedia umana o fallimento familiare che non sia contenuto nella notte dell’Uomo-Dio. Con quella morte ha già pagato tutto; ha firmato una cambiale in bianco, capace di contenere il dolore e il peccato dell’umanità che è stata, che è e che sarà.
La famiglia può ricomporsi nel suo splendore – Il grande evento della sofferenza e dell’abbandono dell’Uomo-Dio, può dunque divenire il punto di riferimento e la sorgente segreta capace di trasformare la morte in risurrezione, i limiti in occasioni d’amore, le crisi familiari in tappe di crescita. Come?
È l’incontro con lui, che da «Persona divina» si è fatto individuo senza rapporti, con lui, il Dio dell’uomo contemporaneo, che tramuta il nulla in essere, il dolore in amore. Sarà il nostro «sì», il nostro gesto d’amore e d’accoglienza a lui, che inizierà a sgretolare i nostri individualismi, facendoci uomini nuovi capaci di risanare e rivitalizzare con l’amore le situazioni più disperate.
Alla luce di Gesù Abbandonato, possiamo costruire l’amore; non nasce automaticamente con il “Si”. C’è un’infanzia, una adolescenza ed una maturità anche nell’amore. Bisogna scoprire la ricchezza della croce se si vuole possedere un amore duraturo.
All’inizio della famiglia l’affetto naturale, l’entusiasmo della scoperta reciproca può sostenere il legame tra i due; poi tutto ciò non basta più. Se i due non vogliono rimanere nella mediocrità di un tram tram quotidiano, devono amarsi secondo la linea data da Gesù: fino a rinnegare sé stessi per l’altro, amando l’altro così com’è, non come si vorrebbe che fosse.
Nessun amore matura se non scopre la via di Gesù.
Quasi tutti conosciamo per esperienza cos’è il dolore e sappiamo per esperienza che il dolore o paralizza ogni slancio e ogni generosità, o diventa amore. Ma per diventare tale deve guardare a Gesù crocifisso e abbandonato che ha “rinnegato sé stesso” per noi. L’amore si realizza facendo posto all’altro, amando per primi, senza aspettare di essere amati o compresi dall’altro.
C’è un dolore fra i più grandi, quello di non essere capiti da chi più dovrebbe capirci, perché a lui e lei abbiamo legato la nostra vita.
Può accadere anche che io non siamo messi al nostro posto o non siamo ascoltati o non si valuti l’esperienza personale. Ebbene: dopo aver fatto la nostra parte, dopo aver cercato di dire tutto, spostale le nostre idee, la nostra esperienza, per “ascoltare” l’altro. Essere pieno di me, non essere “vuoto” per ascoltare e capire, blocca l’amore.
Il combustibile per alimentare l’unità fra i due sono proprio le difficoltà interne ed esterne; quelle interne che provengono dal carattere dai propri limiti, dalla propria educazione, dalle proprie esperienze; e quelle esterne che provengono dai contrattempi, dagli spostamenti improvvisi, dalle circostanze impreviste, dalle malattie. Di fronte a queste alterne vicende si è soliti dire: è il destino, è stato un calcolo sbagliato, è stata una dimenticanza. Dovremmo invece abituarci a scoprire in tutte queste contrarietà il volto di Gesù Abbandonato e dire “sei Tu”.
A volte i traumi si ricompongono, le famiglie si riuniscono; a volte no, le situazioni esterne restano come sono, ma il dolore viene illuminato; a volte la sofferenza fisica o spirituale permane, ma acquista un senso unendo la propria alla “passione” di Cristo che continua a redimere e a salvare le famiglie e l’intera umanità. E allora il giogo diventa soave.
Gli sposi e le famiglie possano saziare a quella sorgente ogni sete di autenticità, di comunione continua e senza riserve, di valori trascendenti, duraturi, sempre nuovi.
Anche perché è Dio stesso che può farsi presente nella loro casa, per condividere con loro la sua stessa vita. «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome (= nel mio amore) – ha detto Gesù – io sono in mezzo a loro». (Mt 18, 20) È una splendida possibilità offerta anche alla famiglia, quella di diventare luogo della presenza di Dio.
Per una famiglia che vive così, nulla v’è di estraneo di quanto le succede attorno. Ci sono famiglie così, e sono davvero meravigliose. Esse esercitano un grande fascino su tutti. All’apparenza, sembrano famiglie come le altre, ma nascondono un segreto, un segreto d’amore. Il “dolore amato” le unisce a Cristo che abita nelle loro case, attirato dall’amore reciproco che le lega.
di Andrea ed Ada Roccasalva