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Ripartire da Don Bosco rivedendo la nostra adultità

da Giuseppina Franzò
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Ricordare e celebrare San Giovanni Bosco per educatori e adulti è senza dubbio un momento di riflessione, di consapevolezza, di scelte. Sì, ci guardiamo allo specchio e ci chiediamo: che adulti siamo, che educatori siamo? Dobbiamo cercare dentro di noi e dentro le nostre routine la voglia e la forza di riscommeterci sull’educazione secondo la lezione mai obsoleta di Don Bosco. Dobbiamo chiederci: veramente riusciamo a tirare fuori il meglio da ogni ragazzo che è nel nostro quotidiano secondo la formula di e-ducere, tirare fuori, estrarre cristalizzata nel valore etimologico della parola educare? “L’educazione è questione di cuore” sosteneva Don Bosco  senza stancarsi. L’educazione è relazione secondo i pedagogisti più recenti. Allora dobbiamo ripartire dal cuore, dalla tanto cara a Don Bosco amorevolezza.

“L’amorevolezza cui fa riferimento Don Bosco -spiega Pietro Braido storico della pedagogia-  è costituita da una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda per loro, capacità di dialogo, bontà, cordialità, comprensione. Propria dell’educatore preventivo, essa si traduce nell’impegno di essere un persona “consacrata” al bene degli educandi, sempre presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell’adempiere la propria missione”.  Gli standard richiesti agli adulti da Don Bosco  sono quindi altissimi. Davvero siamo al servizio dei giovani sempre e comunque senza stanchezza, retorica e scorciatoie meno impegnative?

La scuola degli ultimi anni ha ribadito e continua a ribadire con documenti e indicazioni ministeriali l’urgenza di una scuola inclusiva, in cui ognuno possa trovare ascolto e attenzione con le proprie uniche esigenze. Ma ogni circolare sull’inclusione si scontra poi con la pigrizia di ascoltare efficacemente i ragazzi, di capire come effettivamente raggiungerli selezionando metodologie didattiche e contenuti, di creare situazioni entusiasmanti di apprendimento e relazioni motivanti.

Se le circolari ministeriali sulla scuola inclusiva riprendono nella sostanza il progetto di Don Bosco, ora è tempo che anche le coscienze degli educatori debbano nuovamente rintracciare la strada di Don Bosco. I ragazzi devono essere amati, rispettati, ascoltati, entusiasmati creando anche occasioni formative stimolanti, contesti di apprendimento creativi, scommettendo sul valore della comunicazione assertiva, mai aggressiva e mai passiva.

L’educatore sicuro e rassicurante, consapevole del proprio compito e responsabile, autorevole e non autoritario, cerca di instaurare un autentico dialogo e un costruttivo confronto con un giovane. Vitalmente implicato nella relazione educativa, la sua personalità, il suo passato, le sue paure, le sue ansie incidono sulla formazione dell’educando. È la sua persona che educa.

Oggi le relazioni giovani-adulto si sono profondamente trasformate rispetto a quello del tempo di don Bosco, il che comporta anche in questa prospettiva un modo radicalmente nuovo di interpretare e sperimentare l’idea e il ruolo stesso di educatore. È anzitutto necessario che, non ritenendosi più possessore e interprete unico del sistema, e così imporre o proporre certezze preconfezionate, l’adulto  si renda capace di interpretare i bisogni giovanili difficilmente esprimibili da loro stessi, di accompagnarli nella loro non facile ricerca delle risposte alle domande fondamentali della vita, di rispettarli nel loro diritto di essere e sentirsi protagonisti, di ridurre la propria funzione predominante per educarsi mentre educa sia sul facile terreno del confronto che su quello difficile, ma altrettanto utile, dell’inevitabile scontro.

Nell’educatore il giovane non cerca più tanto il padre che pensa a tutto in sua vece, l’amico che gli organizza il tempo libero, il fratello che si interessa della sua crescita, l’adulto che distribuisce ordini, o il sorvegliante che minaccia castighi, ma l’uomo capace di mettersi accanto a lui, che vuole sbrogliare insieme la matassa di una società liquida e addirittura gassosa, che è più attento alla sua persona che alle esigenze generiche dell’educazione, più disponibile ad offrirgli un contributo positivo allo sviluppo delle sue potenzialità inespresse che non attento a unicamente neutralizzare gli elementi negativi e controproducenti.

Ricordiamoci  quindi soprattutto che la sfida più importante per l’adulto è che si educa con l’esempio, con la vita vissuta ogni giorno, ogni attimo. Siamo puntuali se vogliamo che i ragazzi siano puntuali, siamo seri se vogliamo trasmettere il valore della serietà, incarniamo i valori morali di lealtà, sacrificio, correttezza se vogliamo che siano leali, corretti e pronti a lavorare con serietà, ricominciamo ogni momento dal dialogo anziché scegliere stili litigiosi,  aggressivi e vendicativi se non vogliamo giovani violenti, costantemente belligeranti e sempre sulla difensiva, usiamo i social senza mai barattare la voglia di esserci e partecipare con la nostra dignità intellettuale e morale e non mostriamoci vacui e adolescenti se non vogliamo trovarci una società di adolescenti egocentrici e completamente vacui. Ripartiamo da noi e recuperiamo l’adultità come premessa per l’educazione prima di puntare il dito contro i ragazzi o contro la società. Lasciamo l’adolescenza agli adolescenti.

La celebrazione della festa di Don Bosco diventi quindi per tutti noi  adulti una ripartenza in questa direzione nell’hic et nunc della nostra quotidianità.

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