Il sipario è calato anche su questo Grest 2023 ma i suoi echi, a distanza di alcune settimane, non si sono ancora sopiti. Sono state, d’altronde, tre settimane intensissime dove, tra balli ed attività creative e (ri)creative, abbiamo visto generazioni diverse incontrarsi, interagire e creare relazioni. Ma sono state anche tre settimane durante le quali la vitalità dei bambini e la creatività degli animatori è stata capace di scuotere il trantran quotidiano del “paese mio che stai sulla collina…”.
Pensare il Grest 2023 come ad un’esperienza di socializzazione o ad una attività di “rianimazione cittadina” significherebbe pensarlo dimenticando che, come ci siamo ripetuti fino alla nausea, “dopo il Covid nulla sarà come prima”. Solitudine, precarietà, perdita di punti di riferimento, hanno fatto emergere la fragilità dell’individuo, sul quale si sono spesso rovesciate sfide più grandi di lui. Il futuro è diventato cupo e indecifrabile. E forse proprio per questo è cresciuto il desiderio di relazioni umane più autentiche, più stabili, capaci di dare senso a un universo sempre più problematico.
Questo è stato il Grest del “post-pandemia” che ha offerto a grandi e piccini occasioni, stimoli e strumenti per costruire un sistema di relazioni alternativo, diverso e più umanamente gratificante rispetto all’esperienza proposta nel metaverso dove l’interazione perde uno dei sui requisiti fondamentali: la fisicità.
È stato il Grest dove abbiamo potuto (ri)acquistare la consapevolezza che, oltre al metaverso, esistono ancora il corpo, gli occhi, lo sguardo e che l’incontro più vero e profondo nella vita è quando si sta insieme, ci si parla, si scambiano esperienze.
È stato il Grest che ci ha fatto riscoprire il valore eterno della comunità, della comunione, dell’amicizia, dell’imparare a crescere insieme come alternativa a quel mondo chiuso e tutto proiettato all’interno al quale ci aveva costretto e, purtroppo, assuefatto la pandemia.
Ma è stato anche il Grest che ha messo in evidenza come la “Chiesa in uscita”, tanto voluta da Papa Francesco, diventa “soggetto politico” a tutti gli effetti nel momento in cui, sulla scorta dell’esempio del buon Samaritano, prende coscienza del contesto in cui si trova ed opera, se ne prende cura e, quindi, influenza ed incide su quella che è la vita della comunità cittadina, partecipando e contribuendo alla piena realizzazione del bene comune.
“C’è un cosiddetto amore “elicito”, vale a dire gli atti che procedono direttamente dalla virtù della carità, diretti a persone e a popoli. C’è poi un amore “imperato”: quegli atti della carità che spingono a creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali. Ne consegue che è «un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria». È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica” (Enc. “Fratelli Tutti”, 186).
Questo pensiero di Papa Francesco si trova nell’Enciclica “Fratelli tutti” al capitolo dedicato a “La migliore politica” ma si adatta perfettamente a quello che è il ruolo che oggi riveste la Parrocchia all’interno delle dinamiche sociali, economiche e culturali cittadine. Così il Grest ed il Centro di Ascolto Caritas, come anche il servizio del Banco Alimentare o il Cantiere Educativo, terminano di essere (solo) azioni caritative “istituzionali” e diventano azioni di “politiche sociali” a tutti gli effetti.
Così, alla luce di quanto appena detto, il Grest 2023 diventa una vera e propria misura di “welfare familiare” perché ha risposto concretamente, supplendo ad una mancanza sociale, all’esigenza di quei nuclei familiari – magari con ristrettezze economiche – che si sono ritrovate a dover far conciliare il lavoro con il dover accudire i propri figli.
Troviamo anche l’integrazione ed il dialogo interculturale se si pensa che, tra i 260 “grestini”, si è registrata la presenza di un nutrito gruppo di bambini appartenenti a famiglie di fede e cultura islamica. Una attività di dialogo ed integrazione che, ovviamente, non è delimitata temporalmente alle tre settimane del Grest ma che si è sviluppata nel corso degli anni attraverso un paziente e certosino lavoro di tessitura di relazioni svolto degli educatori e dai volontari del Cantiere educativo “Volere Volare” e dagli operatori della Caritas parrocchiale che, nel tempo, ha fatto diventare la Parrocchia il punto di riferimento del farsi prossimo.
Dalla “pastorale della politica” alla “politica della pastorale” il passo dovrebbe essere breve e naturale. Le nostre Comunità parrocchiali dovrebbero iniziare a (ri)pensarsi, libere da schemi ed orpelli arcaici e medievali, come soggetti chiamati ad operare all’interno di contesti socio-economici e culturali ben definiti e, come il buon Samaritano, farsi prossime dell’altro “a prescindere” ed in quest’ottica anche gli operatori pastorali e, più in generale, tutti i membri attivi della Comunità, dovrebbero prendere consapevolezza dell’importanza sociale del loro “mettersi al servizio”.
L’invito ad un impegno concreto dei cristiani nella politica trova la sua piena realizzazione in questa “Chiesa in uscita” che incontra una politica “in fuga” dalle stanze istituzionali del potere, spesso traboccanti di sterile dialettica e vuota eloquenza, e “richiedente asilo” tra la gente ed i suoi bisogni reali.
Il Grest 2023 è stato un segnale, magari ancora embrionale, di una presa di coscienza dei cristiani e delle comunità parrocchiali riguardo al loro ruolo di “soggetto politico” e non di semplice “tappabuchi” al quale il politico o l’istituzione di turno tende a rivolgersi quando non ha gli strumenti o le risorse necessarie per affrontare le criticità e le emergenze sociali del territorio.