I care, in italiano “io voglio prendermi cura di te” per dare senso alla mia umanità e al mio esistere su questa terra.
Questo è il primo pensiero che mi viene in mente nel ricordare la figura di Don Milani a cento anni dalla nascita.
Dopo cento anni di corsi e ricorsi storici, di ideologie e ceneri di ideologie, di dibattiti, distruzioni e approcci di ricostruzioni, il priore di Barbiana è lì a consegnarci la ricetta giusta. Quella ricetta che con ipocrisia fingiamo di non conoscere. Nella scuola, nel mondo dell’educazione in generale, nella divulgazione della fede, nella politica, nelle relazioni, nella società, nelle nostre vite. E ce la consegna in tre battute: con la sua vita, con la sua riflessione sul valore della parola e con la sua scuola.
In primis dicevamo con la sua vita: egli, infatti, lascia giovanissimo i panni comodi di un figlio di famiglia colta e benestante di Firenze per sporcarsi le mani e spendersi in un contesto umano e ambientale totalmente diverso. Poi fa dell’esperienza dell’esilio, della frustrazione e della sconfitta un punto di partenza per battere nuovi sentieri e cercare nuovi orizzonti. E non solo per sé, ma per la comunità.
Tutto questo perché ha gustato la cultura, l’ha respirate e l’ha individuata come equipaggio insostituibile per ogni battaglia. Ed è proprio dalla profonda cultura che lo ha nutrito e forgiato che scaturisce la sua riflessione sul valore della parola, della lingua, della comunicazione. «Possedere parole o non possederle genera divisioni, muri. Avere più parole ti consegna il potere. Può anche consegnarti la libertà. La parola fa eguali» scriveva nella Lettera ad una professoressa.
E infine la ricetta per noi arriva soprattutto e prima di tutto dalla sua scuola, dalla sua scommessa sulla scuola e sull’educazione. Suoi strumenti di lavoro sempre il cuore prima che la mente, le motivazioni profondamente umane, gli ideali di essenzialità e semplificazione dei processi, dei contesti, per guardare agli obiettivi, ai risultati. La sua cultura, la sua umanità e la sua lungimiranza lo portano a svestire i panni di Pierino per vestire i panni pesanti di Gianni. E così la scuola da lui pensata è una scuola in cui l’esigenza particolare di uno diventa esigenza condivisa da tutti e universale, è una scuola che guarda ai processi e ai risultati e che abbandona i voti e le certificazioni, la burocrazia, la facciate, le ipocrisie, che non ha lavagna e cattedra, in cui tutti imparano e tutti insegnano con buona pace del recente cooperative learning. Una scuola che non dà voti ma in cui lo studio serve per realizzare in pienezza il proprio progetto personale, una scuola in cui ognuno si sente accolto e in cui l’accoglienza viene prima di ogni cosa. Una scuola che umanizza, che crea prima gli uomini e poi costruisce comunità, in cui si impara ad esserci per gli altri, in cui si impara la realzione, la donazione, in una parola a donare e a ricevere amore. Una scuola in cui l’io diventa noi, voltando le spalle al motto fascista, pericolosamente tornato di moda nella nostra società, del “me ne frego”. Una scuola in cui i giornali e la vita e il mondo vero diventano input didattici. Una scuola che già guardava all’Europa come orizzonte e sfida condivisa.
Quando oggi ci troviamo chiamati dalla società a innovare la scuola per guardare ai processi al di là di giudizi numerici e voti, a proporre compiti di realtà, cooperative learning e flipped classroom, a costruire classi e scuole aperte, a costruire la scuola inclusiva di tutti e di ciascuno, a personalizzare la didattica, a trasfromarci in docenti tutor e orientatori o ancora quando l’Europa ci invita a finalizzare il lavoro a scuola all’acquisizione di competenze chiave per l’apprendimento lifelong, in pratica dobbiamo guardare semplicemente e direttamente a Don Milani senza se, senza ma e senza distorsioni o distrazioni. Dobbiamo guardare a quella scuola fatta a Barbiana senza banchi, aule, lavagne e cattedre, dove i più grandi insegnavano ai più piccoli e tutti cercavano di insegnare e di imparare qualcosa, dove anche il più emarginato, diverso, povero o lento si sentiva accolto e protagonista e riusciva a conquistare il proprio progetto di vita, dove il vissuto di ognuno e la vita esterna insieme ai giornali entravano e si integravano nella didattica, dove prima ci si agganciava alla bellezza della propria umanità e poi si diventava comunità. Dove l’homo era homini deus (uomo è dio per ogni uomo) e il motto terenziano homo sum, homini nihil a me alienum puto (sono uomo, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me) diventano parole vive, vita vera mettendo a tacere il più comodo homo homini lupus (l’uomo è lupo per ogni uomo).
Assolutamente niente de La lettera ad una professoressa oggi appare invecchiato: né la denuncia né la proposta, né lo stile, né la forma. Non c’è una frase fuori posto, né un giudizio, per quanto provocatorio, che non risulti giustificato e illuminante. Oggi ancor più di ieri. E non solo se si invia quella lettera di don Milani all’indirizzo della scuola italiana. Ma anche se la si invia all’indirizzo delle comunità in cui viviamo e all’indirizzo dei nostri comodi, bassi e solitari divani esistenziali. Grazie don Milani!
di Giuseppina Franzò
2 commenti
Solo una persona che ama la scuola, che alla competenza e all’esperienza unisce la passione per l’insegnamento e per i suoi destinatari poteva scrivere un articolo così denso, efficace, appassionato, estremamente attuale, centrando il cuore dell’esperienza, del metodo, del messaggio, dell’opera e della testimonianza di don Lorenzo Milani. Questo puntare l’attenzione non sui contenuti, ma sull’anima profonda, sui valori, sui principi che hanno ispirato l’opera di don Milani ci coinvolge e ci interroga. Vale anche per noi l’I care? Ispira le nostre azioni e il nostro impegno? Ci porta a chiederci chi sono oggi nella scuola, nella società e nelle comunità i soggetti che rischiano di essere privati del possesso della Parola, quella che scaturisce dalla reale conoscenza, non quella proveniente da un profluvio di parole inutili che coprono la verità?
Grazie per questa riflessione. Siete sempre stati degli esempi da seguire per me nella scuola e nella vita. Grazie per l ulteriore riflessione sul valore della Parola