“Se solo ci prendessimo il tempo di ascoltarle, queste vite, chissà quante se ne salverebbero”. Così scrive Alessandro D’Avenia nel suo libro “L’appello”, descrivendo in modo chiaro e drammaticamente realistico il grido d’aiuto che arriva dai giovani: “Adulti, dove siete?”. Viviamo in una società nuova, cambiata, dove tutti i giorni è una corsa frenetica. Le nostre teste sono sempre chinate verso uno smartphone; ascoltiamo passivamente, senza neanche guardare negli occhi chi ci sta parlando.
Quante volte i nostri ragazzi ci parlano e noi distrattamente rispondiamo senza davvero averli ascoltati attentamente? Rispondiamo sinceramente a questa domanda. Molti di noi diranno: troppe volte! Ascoltare significa esserci. Non basta sentire o essere fisicamente presenti, serve la presenza emotiva. L’ascolto è un esercizio tanto prezioso quanto difficile: esige attenzione verso l’altro e la disponibilità a distogliere almeno un poco l’attenzione da sé. Mettersi in ascolto dell’altro è comunicare all’interlocutore il nostro interesse per lui, riconoscergli dignità, ritenerlo portatore di un’esperienza, di un pensiero e soprattutto, quando davanti abbiamo dei giovani, di esigenze importanti.
“Non capisco i giovani di oggi!”: un’espressione che siamo abituati ormai a pronunciare e a sentire quotidianamente. Ma perché non ci fermiamo ad ascoltarli e colmiamo questo senso di estraneità che proviamo nei loro confronti? Ascoltiamoli, solo così comprenderemo il loro modo di interpretare la vita, le loro attese, le loro paure, i loro progetti. Spesso il loro modo di esternare i propri pensieri è criptato, difficile da comprendere, espressione di un cambiamento antropologico figlio della tecnologia che ha modificato il loro modo di entrare in relazione con la realtà e con sé stessi. Per questo il nostro ascolto deve essere profondo, capace di raccogliere indizi portatori di grandi verità. Coltiviamo con i nostri giovani una comunicazione costante e attenta, colmando quel vuoto che si è creato tra loro stessi. Perché ammettiamolo, non riescono più a comunicare tra loro.
Purtroppo la tecnologia ha preso il sopravvento sulla parola e non esistono più momenti morti, perché il cellulare è diventato quel migliore amico che non lascia mai solo. Si tratta però di una vicinanza surreale che in realtà crea solo distanza l’uno con l’altro. La nuova generazione chiede di essere interpellata, ascoltata e capita. Non commettiamo l’errore di etichettarla senza nemmeno conoscerla. Non dimentichiamo quanta incertezza c’è nell’adolescenza, quella sensazione di inadeguatezza verso gli impegni scolastici e le pretese di familiari e amici. Proviamo a fare un passo indietro affinché i giovani possano farne uno in avanti!
1 commento
veramente interessante!