Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio.
Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio».
(Gen 22,1-2.6.9-12)
In questo secondo pannello, trattato secondo l’ordine temporale dei vari personaggi che campeggiano negli stucchi della chiesa della SS. Annunziata in Ispica, vediamo raffigurati il patriarca Abramo intento a compiere ciò che Dio gli aveva richiesto: sacrificarGli il figlio Isacco.
Credo che non ci sia racconto biblico più sconvolgente di questo. Un fulmine a ciel sereno potremmo dire, qualcosa di inspiegabile sta per accadere nella vita di Abramo, nel momento in cui finalmente tutto iniziava ad avere un suo ordine, un preciso significato. Una macabra richiesta sconvolge i piani di quella che era stata la Promessa di Dio, uno scenario fatto di non senso si prefigura all’orizzonte; la mano di un padre che non solo non protegge la vita del figlio, ma si arma per dargli la morte.
In questi versi, si apre una pagina della vita di fede del Patriarca (ma anche della nostra) che esprime tutta la drammaticità del credere; la fede, quella vera, si incarna nel nostro vissuto e ci chiede di sacrificare le cose più care, di dare a tutte il giusto ordine.
Quando ti trovi nella posizione di chi ha ricevuto dalla vita tutto quanto e ti sembra veramente che ci sia l’orizzonte luminoso e tu ripeti magari quella preghiera facile, spontanea: “Come è bello credere in te Signore”, subito l’orizzonte ti si blocca e Dio ti respinge ancora nel vuoto totale, nel silenzio (Gianfranco Ravasi).
Questa pagina ci insegna che la nostra fede non si sviluppa né su un terreno compatto come la roccia, né si fa strada su di un itinerario tutto rettilineo; la nostra è la fede in un Dio che (apparentemente) si contraddice, ma nel momento in cui sembra che le tenebre abbiano l’ultima parola, la mano di Dio ferma quella di Abramo che sta per compiere un sacrificio che nessuno vuole.
Una pagina capace di far tremare ognuno di noi, a motivo del fatto che non sempre vanno le cose per come ci aspettiamo, consapevoli del fatto che duemila anni dopo questi fatti, nessuna mano fermò l’agonia di Cristo sulla croce, anche se qui, la vittima sacrificale era pienamente consapevole e liberamente aveva scelto di consegnarsi ai suoi carnefici.
Oltre a spiegarci su quali modelli si deve muovere la nostra fede, l’autore del racconto vuole anche polemizzare sottilmente con i sacrifici dei primogeniti, un modo per esprimere la differenza tra il Dio Altissimo e le deità pagane, un modo per raccontare un Dio tutt’altro che affamato di vittime umane.
Abramo, dunque impara e ci consegna un’importante insegnamento, quello di spogliarci dalle nostre sicurezze, che ci spoglia di un’immagine sbagliata che abbiamo interiorizzato del nostro Dio, di coLui che si annida nel nostro buio più totale per liberarci dalle tenebre.
Un Dio che da un momento all’altro ci può chiedere anche la cosa più cara che abbiamo al mondo, per essere capaci della sua promessa più grande.
Tra i suoi scritti, il filosofo Kierkegaard, ci ha lasciato una sua riflessione su questo stupendo passo Biblico. In esso vi leggiamo che Dio sta educando l’uomo e l’autore evoca la bellissima indimenticabile immagine di una mamma che si colora di nero il seno perchè il bambino possa svezzarsi. Questi è attratto da quel seno, fino a quando lo vede candido e ancora idealmente turgido, continua a desiderare di restare sempre bambino, di non diventare uomo.
E allora, ricordando una prassi che è propria anche di alcune antiche culture, la madre si dipinge di nero il seno. E il bambino odia questa madre che si comporta così, mentre non sa che quel gesto è il più grande segno d’amore.
Lo scrittore termina con queste parole: non tutte le strade sono di facile comprensione.
In questo senso Kierkegaard può scrivere che «con la fede, Abramo non rinunciò a Isacco ma con la fede Abramo ottenne Isacco », ovvero rese possibile ad Isacco la sua libertà, la sua vita singolare sciogliendola dai lacci che lo avrebbero legato alla famiglia d’origine.
di Donato Bruno
1 commento
L,’ articolo mi ha suscitato una certa commozione Scritto con delicatezza Complimenti