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Evangelii Gaudium Capitolo Terzo. L’annuncio del Vangelo

da Redazione
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«La nostra imperfezione non deve essere una scusa; al contrario la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere». (EG 121)

Prendendo in prestito una frase del santo papa Paolo VI contenuta nella Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, al punto 110 si apre il terzo capitolo dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium.

“Dopo aver preso in considerazione alcune sfide della realtà attuale, desidero ora ricordare il compito che ci preme in qualunque epoca e luogo, perché «non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore», e senza che vi sia un «primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione»”.

Se il tema dell’Evangelizzazione è il cosiddetto filo rosso che lega tutta l’Esortazione, in questo terzo capitolo, viene rappresentato il cuore del tema. In essa, Francesco riesce a portare alla superficie le problematiche di questa contemporaneità così distratta e liquida dove è palese l’invito a fermarsi un poco e a ripensare a tutto ciò.

All’inizio è rimarcato il fatto che il soggetto dell’evangelizzazione è prima di tutto un popolo; un noi che va camminando verso Dio. Un messaggio che deve mettere al centro «il primato della proclamazione di Gesù» e «il primato della grazia», una salvezza che è il risultato non delle nostre azioni, ma della misericordia di Dio. Un lieta notizia che questa comunità umana che si chiama Chiesa, deve annunciare e dare speranza, nutrendosi della Speranza che viene direttamente dalla fede. Per far sì che queste parole trovino attuazione «La Chiesa deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo».

Quali sono le vie privilegiate della evangelizzazione su cui lavorare particolarmente? Il nostro amato Pontefice ci suggerisce in particolare:

La Pietà popolare, l’Omelia e il Kerigma.

C’è una forza potente data dalla pietà popolare; «in essa, guardata a volte con sfiducia, si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una specifica cultura e continua a trasmettersi». Il terreno della Pietà popolare, potrebbe rivelarsi un luogo dove trovare tutti i presupposti di relazioni interpersonali; quel dialogare quotidiano con l’altro, anche se complicato e mai facile, capace di dare spessore e senso a questa speciale via di comunicazione cristiana. Papa Francesco tesse dunque l’elogio della Pietà popolare definendola pure come Spiritualità popolare o anche Mistica popolare, citando anche il Documento di Aparecida, emerso dai lavori della V conferenza episcopale latinoamericana tenutasi ad Aparecida, nello stato di San Paolo in Brasile nel maggio del 2007, ove questa “mistica popolare” viene definita «…spiritualità incarnata nella cultura dei semplici»  Alla luce di tutto ciò, ciascuno secondo il proprio bagaglio culturale, con il proprio carisma, attraverso i vari gruppi e movimenti che gravitano nella comunità, la Pietà popolare potrebbe essere un veicolo che può apportare notevoli benefici all’unità e all’appartenenza alla Chiesa.

Riguardo al punto riservato all’Omelia, il Pontefice puntualizza sul come comunicare. Un luogo importante ed emblematico, dice Francesco, che deve essere trattato come una «conversazione tra madre e figlio». L’omelia, continua, «…non può essere uno spettacolo d’intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione […] e deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione.» Per una predicazione efficace, puntualizza l’autore, occorrono preparazione, personalizzazione, capacità di presentazione e di attenzione. «Il predicatore deve lasciarsi commuovere dalla Parola… deve scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire… è perciò un contemplativo della Parola così come del popolo».

Che cosa allora “proclamare” nella catechesi?

E qui arriviamo al terzo dei concetti chiave riportati in questo capitolo dell’enciclica: il Kerigma, ovvero l’annuncio della passione, della morte e della resurrezione di Gesù. E’ il primo e principale annuncio: «Gesù ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Ad esso è collegata l’altra faccia della catechesi: «l’iniziazione mistagogica», cioè «la necessaria progressività dell’esperienza formativa in cui interviene tutta la comunità ed una rinnovata valorizzazione dei segni liturgici dell’iniziazione cristiana».

Una catechesi che «presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” che convinca che credere in Dio non è solo una «cosa vera e giusta, ma anche bella».

Avanti quindi andando alla ricerca di nuove forme e di nuovi linguaggi per raccontare di Dio; con modi che abbiano a che vedere con la bellezza, senza sentirsi o farsi percepire come esperti moralisti capaci di «diagnosi apocalittiche», ma casomai «gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo». Narrare di Dio diventerà allora uno sguardo diverso sul mondo; uno sguardo rispettoso, compassionevole e incoraggiante. Concludiamo con uno speranzoso brano dell’arcivescovo brasiliano, Dom Helder Camara, la cui vita è stata interamente dedicata a Dio e ai fratelli più poveri della sua terra:

«Missione è partire, camminare, 8lasciare tutto, uscire da se stessi,

rompere la crosta di egoismo che ci chiude nel nostro io.

Missione è smettere di girare intorno a noi stessi,

come se fossimo il centro del mondo e della vita.

Missione è non lasciarsi bloccare dai problemi del piccolo mondo

al quale apparteniamo: l’umanità è più grande.

Missione è sempre partire, ma non è divorare chilometri.

È, soprattutto, aprirsi agli altri come a fratelli, è scoprirli e incontrarli.

E se per incontrarli e amarli è necessario attraversare i mari

e volare lassù nel cielo, allora missione è partire fino ai confini del mondo».

di Donato Bruno

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