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Questa sì che è Vita. Il mio campo scuola

da Redazione
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“O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua(Sal 62,2)”. Sono le parole del re Davide, ma possono essere anche le parole della nostra ricerca di senso e di pienezza. È la voce di quella sete che ci portiamo nel cuore e che troppo spesso cerchiamo di estinguere in maniera maldestra con surrogati di apparente felicità, con l’unico esito di far aumentare l’arsura della ricerca di ciò che potrebbe appagarci.

Forse è arrivato il momento di guardarci finalmente allo specchio, ma senza giudizio e senza colpevolizzazione, e ammettere semplicemente e in tutta sincerità che la nostra vita è diventata una terra deserta, una terra ferita da una siccità che silenziosamente grida il suo bisogno di un’acqua viva e vera, che è l’amore misericordioso di Dio. No, non si tratta di un amore” urlato, sbandierato, mercificato, sensazionale che brilla sulle insegne dei centri commerciali o sugli schermi dei nostri smartphones. L’amore di Dio, l’unico di cui abbiamo davvero bisogno e di cui hanno bisogno le nostre relazioni, non è rumore appariscenza, non è pretesa né ricatto, non è istinto né attaccamento, non è convenienza né morbosità, non è utilità né calcolo. L’amore di Dio è una luce gentile, come diceva John Henry Newman, una luce che tutto accarezza e abbraccia, una luce silenziosa che trasforma i cuori di pietra in cuori di carne. L’amore di Dio è acqua limpida e cristallina, è una chiarezza interiore che permette di vedere la fragilità e la debolezza come il luogo in cui Dio stesso viene ad abbracciarci, e questo ci basta per assaporarequalcosa del mistero di Dio!

Partecipare al campo giovani in Toscana è stato esattamente sperimentare la carezza di Dio. Campo giovani per me è significato scoprire la ricchezza interiore di ogni persona, me compreso, cominciare a vedere le meraviglie di Dio nei gesti apparentemente più scontati, come possono essere quei gesti che tradizionalmente chiamiamo opere di misericordia corporale.Durante un campeggio si può vedere Dio nelle piccole cose, persino nelle difficoltà di una breve convivenza tra ragazzi, nelle azioni più semplici e ordinarie come apparecchiare a tavola o tener puliti gli ambienti. In un campeggio tutto può diventare una opportunità per prenderci cura di qualcuno e scoprirci capaci di un amore così puro che forse non avremmo mai pensato prima. A un campeggio si impara ad affrontare anche le difficoltà e le contrarietà, si impara che non sempre la vita va secondo le aspettative (e menomale!), ma ciò che Dio ci dona è sempre il meglio che potremmo davvero desiderare. A un campeggio forse si muore un po’, perché devi confrontarti con chi è diverso da te, e dunque bisogna dar la morte al proprio egoismo, alle proprie opinioni e alle prospettive troppo anguste del proprio io. Ma è un passaggio che porta la luce della resurrezione, la luce della tenerezza di Dio che si scopre nel suo amore verso di noi, anche attraverso le cure e le attenzioni degli altri nei nostri confronti. Campeggio è scoprire che la volontà di Dio, e dunque il suo amore per noi, è sempre più grande del nostro cuore e delle nostre deboli volontà troppo legate ai tornaconti personali. Desiderare la volontà di Dio per noi è dunque la possibilità irrinunciabile di essere davvero liberi per amare, gioire, giocare, lodare, servire, correre, pregare, perdonare, far pace. Il campeggio è una prova, se vogliamo, in cui le fragilità e le insicurezze vengono sì allo scoperto, ma è anche il momento in cui la debolezza, accolta ed amata, diventa la più grande ricchezza da poter donare agli altri. Il campeggio è la scuola dove si impara ad amare sul serio!

di Andrea Bonomo

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