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Paolo Ferlisi: i miei 60 anni di sacerdozio per amare e costruire la chiesa di Cristo

da Redazione
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In occasione dell’Anniversario di morte del carissimo Padre Paolo Ferlisi, vogliamo ancora ricordarlo riprendendo un articolo pubblicato nel Giornale di Sicilia in occasione del suo 60° anniversario di sacerdozio a firma della giornalista Giuseppina Franzò.

Uomo di grande fede, essenziale nel parlare, aperto ed accogliente  alle esperienze dei movimenti laicali e con un amore immenso per la Madre Celeste e per San Paolo.

Padre Paolo Ferlisi ha celebrato i suoi 60 anni di sacerdozio con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Mons. Antonio Staglianò.

Perfettamente lucido nonostante i suoi 86 anni ci racconta le sue giornate da parroco trascorse  in sagrestia dalla mattina alla sera “perché qualcuno poteva  avere bisogno di me” e ci confessa il suo pensiero ricorrente dopo ogni messa: “sarò stato chiaro nella predicazione?”.

A lui che da sessanta anni segue e osserva la vita spirituale della città chiediamo un bilancio: “Sono stati gli anni  in cui la città ha fatto enormi passi in avanti per giungere dalla pietà popolare alla comprensione del Mistero e per cercare l’unità”.

Ci racconta poi delle sue giornate: “passo la mia vita in preghiera, prego anche  per il mio vescovo e per il mio parroco, Don Giuseppe Stella,  che è subentrato a me nella chiesa della Ss Annunziata: ci lega un rapporto che richiama alla memoria quella fra Jonathan  e Davide”.

Ama molto  rileggere la  Bibbia,  il periodico Avvenire, il libro del curato D’Ars, tra i salmi preferisce il 50 “Pietà di me o Signore”.

Fermi ancora nella memoria tutte le soluzioni trovate, le persone ascoltate con un instancabile amore e dolcezza che, ancora nonostante il tempo, traspaiono forti dal suo sguardo.

Tra i momenti più importanti nella sua  attività pastorale recente  ricorda  il battesimo di due ragazze adulte, prima testimoni di Geova, e la vocazione di Don Aldo Modica.

Ancora nitidi i ricordi del  seminario in tempo di guerra quando malvolentieri  era chiamato a sottrarre tempo allo studio per preparare i lumi per gli studenti.

Ricorda ancora con emozione il suo primo incarico come vice parroco a Pachino in un quartiere di 18 mila persone e poi   il suo primo incarico di parroco a Frigintini.

Quindi  i 10 anni a Scicli e il grande affetto della gente che acquisiva gradualmente l’abitudine di venire a messa insieme alla grande accoglienza dei giovani. “Mi ricordo di aver seguito nella vocazione il giovane Aldo Modica e di   come per la festa dell’Addolorata a Scicli sceglievamo di far venire sempre la banda musicale di Ispica e il fuochista di Ispica e mi ricordo ancora come da Frigintini vennero  tre pullman di fedeli per stringersi attorno a me nel giorno della presa in carico della chiesa San Bartolomeo a Scicli”.

E’ puntuale e dettagliato poi nel ricordo di quel girono  del ’68 in cui fu ordinato parroco della chiesa di San Giuseppe a Ispica, allora retta insieme alla chiesa Madre e alla chiesa Madonna delle Grazie da padre Vindigni. “Era una chiesa – ricorda con emozione – ancora in costruzione spiritualmente e materialmente: c’erano solo le fondamenta. Affittai un locale per fare la messa e la gente cominciò a venire. Poi ottenni dalla Regione  4 cantieri scuola per mandare avanti i lavori  e ricordo come  non era semplice riuscire a far lavorare insieme tutti quegli operai che dovevano essere pagati 3000 lire al giorno. Le persone del quartiere davano anche una mano nell’acquisto dei materiali ed era tanto l’entusiasmo e la voglia di collaborare alla nascita della nuova chiesa. Ricordo di essere andato personalmente a Barletta per comprare il marmo dello zoccolo alto che costò in totale 300 mila lire e il costo del cemento che aumentava continuamente a causa della sua carenza in quel periodo”.

La commozione poi è tanta quando  racconta del giorno in cui la città si riversò in chiesa per aprire finalmente al culto la chiesa con una celebrazione presieduta dall’arcivescovo Pappalardo e i primi anni della vita parrocchiale a San Giuseppe: “La chiesa di San Giuseppe si riempì subito di giovani anche di altre parrocchie che formarono un coro e che mi aiutarono per realizzare il presepe in cartapesta e gesso. La statua di San Giuseppe era prima conservata nella chiesa di corso Vittorio Emanuele dove c’è adesso il supermercato, poi quando crollò il tetto fu custodita insieme al Crocifisso nella chiesa della SS Annunziata e quindi al termine dei lavori portata nella nuova chiesa”.

Negli anni ‘70 gli fu affidata invece la chiesa della SS Annunziata guidata in forma temporanea da Padre Pietro Iabichella: “Anche qui ho trovato un cantiere in quanto c’erano lesioni alla volta, nelle colonne. Mi viene in mente la soddisfazione che provammo tutti quando ci fu comunicato di un finanziamento di sei miliardi da Palermo per eseguire i lavori  e la grande delusione quando questi fondi furono dirottati altrove. Ricordo di aver seguito il cantiere giorno dopo giorno, il rinnovo della sagrestia, il consolidamento delle fondamenta. Poi anche il ritorno in vita della parrocchia man mano che andavano avanti i lavori: le riunioni dell’Azione Cattolica, le riunioni della confraternita, la nascita dell’associazione Don Bosco, l’apertura al Rinnovamento nello Spirito, i gruppi famiglia, l’artistico coro. Ciò che avevo a cuore di più tra gli impegni era però  la visita  quotidiana e l’eucarestia ai tanti malati e anziani del quartiere”.

Giuseppina Franzò articolo pubblicato su Giornale di Sicilia, 29 giugno 2010

(In foto: Padre Ferlisi – Adorazione della Croce – Venerdì Santo Basilica SS. Annunziata Ispica)

1 commento

rosariapiazzee36 gmail .it 14 Ottobre 2021 - 22:44

Bravissima articolo ricco di notizie,” Passava le giornate in preghiera e ascoltava tutti con instancabile amore e dolcezza “.

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