La settimana santa è segnata da riti liturgici e tradizioni popolari. Dal Giovedì Santo al triduo pasquale è un susseguirsi di riti dove vengono rievocati gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù Cristo.
Abbiamo mai analizzato questi momenti alla luce delle promesse nuziali?
È proprio durante l’ultima cena che Gesù fonda il matrimonio, quando si dona nel pane nel vino: “prendete e mangiate questo è il mio corpo… bevetene tutti questo è il mio sangue…”
Con questo gesto Cristo si consegna all’umanità e diventa con noi una sola carne, in questo Unione intima con lui si realizza la sua nuzialità. Allo stesso modo anche noi sposi realizziamo la nostra nuzialità imitando Cristo donandoci l’un l’altro e diventando una sola carne dal giorno in cui come ministri celebriamo il sacramento del matrimonio.
Oggi la nuzialità degli sposi rischia di essere offuscata e si pensa che sia solo nel giorno del matrimonio, ma non è così: il sacramento del matrimonio è permanente, è per sempre, è quotidiano e noi sposi lo celebriamo in tutti gli ambiti in cui operiamo, in famiglia, al lavoro, nella società.
La vita di noi sposi è tutta una liturgia di glorificazione di Dio e luogo di santificazione, noi sposi siamo segno visibile dell’amore di Cristo.
Ci poniamo allora una domanda: Cosa dobbiamo fare di speciale per realizzare ciò? Niente di speciale!
Gesù lo insegna durante l’ultima cena quando si abbassa nell’atto della lavanda dei piedi ai discepoli: Gesù che aveva amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. In questo gesto si vede tutto l’amore infinito di Cristo e invita tutti noi e in particolare noi sposi ad assumere atteggiamenti di servizio verso il coniuge, i figli… mettersi a servizio dell’altro significa mettere da parte le nostre preoccupazioni, le nostre ferite, i nostri bisogni per sostenere quelli dell’altro.
Trasferire un amore totalmente senza riserve, senza temere di perdere della propria dignità, noi sposi celebriamo Il Mistero dell’amore di Cristo per la Chiesa tutti i giorni: donando noi stessi, uscendo dal nostro io per accogliere l’altro, nell’essere presente per l’altro e nel desiderare il bene dell’altro.
(Come) quante volte durante il giorno ci capita di abbassarci nel prendere su di noi il difetto del coniuge o di condividere qualcosa, il modo di ascoltarci, di fare gesti di tenerezza, un abbraccio, un bacio il porsi al servizio dell’altro, dei figli, nel semplice preparare da mangiare, tutte azioni che concretizzano l’amore di Dio.
È facile donarsi quando i nostri gesti sono capiti quando il farsi dono è bello e romantico.
Ma quanto è difficile quando il rapporto si stanca o ci sono incomprensioni! Ci si sente soli e abbandonati e come Gesù che sulla croce grida: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato“; nonostante fosse stato deriso, maltrattato e tradito continua ad offrirsi. È proprio questo il momento di mettersi in gioco, di imparare ad amare come Cristo ci ama.
Amare l’altro diventa quindi decisione, impegno, sofferenza, fatica, ma non sempre è facile bisogna prima riconoscere le nostre ferite, accettare i nostri limiti, morire al nostro egoismo. Ma se vediamo la Croce come emblema dell’Amore di Dio allora riusciamo a trovare la forza e l’energia per superare le sfide e le angosce, trasformando il nostro amore simile all’ amore di Dio Padre.
Sebastiano e Marisa Di Benedetto