Home Annunziando DON BOSCO: La comunità, l’oggi e l’alba di una speranza

DON BOSCO: La comunità, l’oggi e l’alba di una speranza

da Don Manlio Savarino
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Perché parlare di Don Bosco? Ci avviciniamo alla festa del santo dei giovani così fortemente sentito nelle nostra parrocchia, e il nostro giornale non può esimersi dal dedicare alla sua multiforme opera ed encomiabile testimonianza di santità piccoli spazi di riflessione e confronto.

Vissuto nel XIX secolo, è diventato famoso per la sua opera a favore della gioventù povera ed abbandonata di Torino e dei dintorni, in un periodo difficile, di profonde trasformazioni sociali e politiche. Il suo metodo educativo e la sua attività ispirata dall’autentica carità cristiana si è estesa in tutto il mondo, arrivando anche nei paesi di tradizione non cristiana. Il perdurare e il moltiplicarsi delle sue opere, lo hanno fatto conoscere e studiare, tanto che oggi disponiamo di un’abbondante bibliografia sulla sua persona e sul suo stile educativo. Dopo la prima comunione (il 26 marzo 1826) andò via da casa, e si imbatté in Don Calosso, cappellano di Morialdo e da lì cominciò la sua vita prima nella vocazione al sacerdozio e poi fondando l’oratorio dove poté accogliere i giovani di cui si prenderà cura per tutta la sua vita aiutato da mamma Margherita e da figure a lui care.

Un uomo con “un piede nel sogno e uno nella realtà” è il don Giovanni Bosco definito da Fabio Gedda né il “Demonio ha paura della gente allegra“ al tempo stesso visionario e pragmatico, convinto che anche un religioso abbia il dovere di dare risposte concrete ai problemi sociali. Il suo messaggio semplice quanto rivoluzionario – allegria, studio e pietà: non serve altro – oggi risuona più forte che mai, e dalla Torino dell’Ottocento arriva fino alle strade delle nostre città e ai fronti su cui si gioca il diritto al futuro, dalle periferie ai centri di accoglienza delle nuove migrazioni.

Parlando di don Bosco non si può non intrecciare la vicenda umana a quella dell’educatore e del catechista, che sembrano separate ma invece sono un tutt’uno con un uomo che non è stato solo un uomo di Dio ma soprattutto un uomo degli uomini e per gli uomini. Parlando della sua vita e della sua attività si deve partire dalla ricostruzione storica, per arrivare al suo unico fine che è quello di conquistare un futuro per i suoi ragazzi, ed è anche questo che lega la spiritualità e il gioco, la capacità di trovare il centro dell’uomo stesso di colui che si prende cura del prossimo. Giovanni Bosco, il santo che credeva nell’umanità, parla ancora a una società che ha bisogno di tornare a crederci soprattutto in questo tempo così complicato ma altrettanto provvidenziale di riscoperta dell’umano e dalla sua più originale essenza.

Può essere definito un santo sociale che parte da una dimensione di fede per poi intervenire nella quotidianità con un’apertura assoluta, che non esclude mai nessuno. Le ragioni del suo agire poco contano perché quando ci si spende per gli altri, ci si muove già in una prospettiva spirituale.

Alla base del rapporto educativo c’è l’amore e la dedizione, l’oblativa capacità di farsi tutto a tutti, soprattutto ai più giovani, il valore dell’esempio, il dovere della coerenza, la gentilezza, la solidarietà verso i più deboli. C’erano già all’epoca di don Bosco ed erano i ragazzi dei quartieri poveri, che vivevano in condizioni del tutto simili a quelle che si possono riscontrare nei centri di accoglienza attuali, nei quartieri vecchi e nuovi della nostra cittadina, nelle nostre comunità e nelle aule scolastiche. Nella sua attività metteva in campo doti da comunicatore, e da mediatore espresse non per amore del compromesso, ma in vista di un bene comune che va perseguito e realizzato a ogni costo. È lui, oggi più che mai a suscitare l’”ira profetica” dentro il contesto storico che stiamo vivendo abitando la casa comune, oggi più che allora bisognosa di recuperare l’essenziale che è fatto di incontri, sguardi, affetto donato e ricevuto: l’essenza del vivere fuori dai “non luoghi” che il consumismo imperante riserva alle fasce giovanili.

Geda lo definisce un “visionario con i piedi per terra”: ricorreva al linguaggio dei sogni per farsi intendere da tutti.

Ci incontra così oggi Don Bosco – incapaci di sognare in piccolo – desiderosi di sognare in grande. Il santo dei giovani avrebbe gradito molto un’alleanza tra le generazioni. Dai più giovani viene l’entusiasmo, da chi è più maturo viene l’esperienza. Un piano così sarebbe piaciuto molto a don Bosco. E allora alleiamoci. È il tempo della rinascita, il tempo nuovo dove passato e presente si coniugano insieme e con occhi di speranza si affacciano al futuro così incerto ma altresì possibile.

Negli articoli che seguiranno intendiamo intravedere, tra storia e realtà, lo “sguardo visionario” del nostro santo, perché possiamo esserne scaltri devoti e discepoli.

(In foto – Processione Don Bosco – Anno 2020)

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